sabato 29 dicembre 2007

Il web 2.0 entra a Buckingham Palace



Ha scelto YouTube per trasmettere il consueto messaggio natalizio di auguri: la regina Elisabetta, a 81 anni, ha deciso di usare Internet oltre al tradizionale mezzo televisivo. La regina si è dimostrata consapevole del fatto che, per raggiungere un pubblico mediamente giovane e per oltrepassare i confini del Regno Unito, esistono nuove tecnologie: un portavoce ha riferito che Elisabetta II «è sempre stata conscia del fatto che per mantenere il contatto con la gente è necessario stare al passo dei tempi e usare i mezzi di comunicazione più adeguati». Il web 2.0, insomma, è entrato anche a Buckingham Palace.

giovedì 20 dicembre 2007

Che canzone meravigliosa...



Tengo que confesar que a veces
no me gusta tu forma de ser
luego te me desapareces y no entiendo muy bien por qué
no dices nada romántico cuando llega el atardecer te pones de un humor extraño con cada luna llena al mes.

Pero a todo lo demás le gana lo bueno que me das sólo tenerte cerca siento que vuelvo a empezar.

Yo te quiero con limón y sal, yo te quiero tal y como estás,
no hace falta cambiarte nada,
yo te quiero si vienes o si vas,
si subes y bajas y
no estás seguro de lo que sientes.

Tengo que confesarte ahora
nunca creí en la felicidad
a veces algo se le parece, pero
es pura casualidad.

Luego me vengo a encontrar con tus ojos y me dan algo más
sólo tenerte cerca siento
que vuelvo a empezar.

Solo tenerte cerca
siento que vuelvo a empezar...

lunedì 17 dicembre 2007

Stati Uniti, cresce la produttività, ma calano gli stipendi


Dopo l’implosione dell’URSS, gli Stati Uniti sono rimasti gli unici protagonisti della scena mondiale e non hanno più rivali dal punto di vista geopolitico. Dal 1995 al 2006 il PIL statunitense è cresciuto vertiginosamente (+42,1%) e con 13.020 miliardi di dollari nel 2006 gli USA hanno raggiunto la vetta del primo prodotto in tutto il mondo. La grande ricchezza e la crescente produttività sono il frutto di un mercato libero, senza rendite né corporazioni, caratterizzato da un sistema di concorrenza aperta e privo di vincoli (l’80% del PIL statunitense proviene proprio dai servizi). Anche i massicci investimenti nella ricerca (il 2,7% del PIL nel 2007) hanno contribuito allo sviluppo della potenza statunitense: non è un caso che Internet, la rete che ha rivoluzionato la comunicazione e che è ormai dominio di tutti, sia una tecnologia nata proprio negli USA. Quella statunitense è una ricchezza che cresce sempre di più e nel 2006 ha contribuito per il 20,1% alla prosperità del PIL mondiale.
Nonostante il PIL da record e un’economia molto competitiva, molti sono gli squilibri a livello sociale che gli USA devono affrontare. Uno studio condotto da diverse fondazioni (Pew Charitable Trust, Brookings Institution e Heritage Foundation) e pubblicato sul World Street Journal nel maggio scorso ha tracciato un quadro molto contraddittorio della situazione socio-economica negli USA. I dati, infatti, dimostrano che nel periodo 2002-2006 la produttività è cresciuta del 16%, ma gli stipendi sono diminuiti del 2%. Aumenta, inoltre, il divario tra padri e figli: mentre nel 1974 i trentenni guadagnavano di media 40.210 dollari l’anno, a distanza di 33 anni, i trentenni di oggi guadagnano il 12% in meno, cioè 35.010 dollari l’anno.
Le contraddizioni sociali sono evidenti anche per ciò che riguarda i divari tra le classi sociali: mentre nel 1980 un manager guadagnava 40 volte più di un lavoratore medio, nel 2002 lo stipendio di un manager è 435 volte superiore ad uno stipendio standard.
Un altro capitolo che segna i profondi squilibri all’interno della società americana è la sanità: si tratta di un sistema profondamente contraddittorio (come ha denunciato il regista Michael Moore nel film “Sicko”) ed è il tema centrale della campagna elettorale per le prossime elezioni presidenziali. Negli Stati Uniti l’assistenza sanitaria pubblica copre solo il 20% degli americani con Medicare (riservata agli over 65) e con Medicaid (per i poverissimi).
Per quanto riguarda le polizze sanitarie pagate dal datore di lavoro, la percentuale di copertura è del 63%: ciò significa che sono 47 milioni (cioè un terzo dei lavoratori) le persone che non hanno diritto all’assistenza sanitaria.

Fonte: corso di Politica Economica (LUMSA), prof. Gentiloni, a.a. 2007/2008

mercoledì 12 dicembre 2007

Cina, cresce il PIL e crescono le contraddizioni


Dopo la radicale svolta, sia culturale sia politica, degli anni Ottanta, la Cina ha preso il volo aprendo le porte al commercio globale, agli investimenti esteri e ai prestiti internazionali.
In poco più di venti anni la Cina si è trasformata nella locomotiva del mondo, diventando il primo Paese esportatore di high tech (con i suoi 180 miliardi di dollari ha superato i 149 miliardi di dollari degli Stati Uniti), il secondo Stato produttore di automobili e camion, il secondo mercato globale per Ferrari e Rolls-Royce e la seconda destinazione di capitali mondiali dopo gli USA.
Inoltre, con l’ingresso nel WTO nel dicembre del 2001, il colosso asiatico ha dimostrato di saper competere nel mercato rispettando le regole del commercio mondiale tracciate dal World Trade Organization, riducendo, per esempio, i dazi dal 15,3 % al 9,9% e aprendosi agli investimenti esteri (70 miliardi di dollari nel 2007).
La scalata della Cina, però, scricchiola a causa di diverse contraddizioni interne: uno dei problemi principali è rappresentato dai gravi squilibri sociali che affliggono il Paese asiatico. Se tra la popolazione cinese si contano 106 miliardari e 320 mila milionari in dollari, secondo la World Bank ci sono anche 318 milioni di persone che guadagnano meno di due dollari al giorno e 180 milioni di cinesi che si trovano sotto la soglia minima di povertà, guadagnando solo un dollaro al giorno. Si tratta di dati che evidenziano nettamente la grande spaccatura tra ricchi e poveri in Cina, anche se dal 1985 al 2005 i poverissimi sono diminuiti da 400 milioni a 180 milioni.
Un altro grave problema è la situazione dei cinesi che risiedono nelle zone rurali: quasi tutti i contadini (il 90%) devono pagarsi le cure mediche da soli (dato che lo Stato dà solo un dollaro pro capite per le spese mediche nelle zone di campagna), guadagnano un quarto degli operai che lavorano in città e più di 800 milioni di loro non hanno diritto alla pensione. Inoltre, i contadini sono la categoria maggiormente colpita e oppressa dai funzionari corrotti del regime, come racconta il libro “Può la barca affondare il mare? Vita dei contadini cinesi” di Chen Guidi e Wu Chuntao.
Un altro fattore che comporta squilibri e malcontento nella popolazione cinese è il tasso di disoccupazione, che dal 1996 al 2003 è cresciuto vertiginosamente dal 4,5% al 10,2%: sono 28 milioni i cinesi che non hanno un lavoro e non hanno diritto ad assegni di sussistenza né alla pensione. Mentre lo Stato ha sborsato ben 35 miliardi di dollari per le spese militari (secondo gli Stati Uniti la cifra reale ammonterebbe a 120 miliardi di dollari), per la spesa sociale sono stati versati solo 5 miliardi: per il governo cinese i problemi sociali valgono solo un settimo degli armamenti.

Fonte: corso di Politica Economica (LUMSA), prof. Gentiloni, a.a. 2007/2008

lunedì 10 dicembre 2007

Dalle tasse al caro vita, ecco i tarli dell'economia italiana


Il nostro Paese si trova a convivere con una serie di problemi economici che l’attuale governo, attraverso la finanziaria, intende fronteggiare.
Il principale obiettivo della manovra è la riduzione dell’enorme debito pubblico, che in parte verrà risanato con il tesoretto da 7,1 miliardi di euro ottenuto con l’extragettito fiscale. Attraverso tale operazione il debito pubblico scenderà al 105% entro la fine di quest’anno e al 103,5% entro il 2008. Proprio la scorsa settimana il commissario europeo per gli Affari Economici, Joaquin Almunia, ha invitato il governo italiano a “usare le entrate aggiuntive per un ulteriore consolidamento di bilancio”, dato che il nostro Paese attualmente ha “il livello di debito più alto d’Europa”.
Con la manovra finanziaria del 2008, un miglioramento dovrebbe riscontrarsi anche nell’attività imprenditoriale, grazie alla riduzione dell’IRAP. Il problema dell’eccessiva tassazione, però, non colpisce solo le imprese, ma grava anche sui lavoratori: secondo uno studio della Banca Centrale Europea dello scorso aprile, in Italia ad essere particolarmente pesante è il cuneo fiscale e contributivo. Esso rappresenta quasi la metà della pressione fiscale complessiva, precisamente il 31,8%, di cui il 24,9% a carico delle imprese e il 6,9% sui lavoratori. L'altra metà è composta da tasse sul reddito e sui consumi.
Un altro grande problema economico dell’Italia è rappresentato dai cartelli assicurativi e bancari: la situazione di trust ostacola la concorrenza ed è la causa dei prezzi altissimi dei servizi offerti.
Ad indebolire la concorrenza è anche il corporativismo che caratterizza diverse categorie di professionisti, cui si oppone il decreto Bersani dello scorso febbraio: scarsa competizione, debole spinta all’innovazione, prezzi più alti per i consumatori e scadente qualità delle prestazioni sono i risultati di una politica basata su un’eccessiva regolamentazione nei servizi professionali.
Infine, un altro problema all’ordine del giorno, oggetto di discussioni e polemiche sia nel mondo politico sia in quello economico, è il costo della vita: i salari troppo bassi sono del tutto sproporzionati rispetto al prezzo dei beni di prima necessità (pane e latte primi fra tutti), che lievitano a causa di una catena di intermediari frapposta tra produttore e consumatore. Secondo un'indagine svolta da “Format-Ricerche Di Mercato” sulle abitudini e i comportamenti degli italiani nell'alimentazione, il 24,2% degli intervistati dichiara di avere problemi economici con cui fare i conti quando va al supermercato. È una tendenza in aumento soprattutto per quanto riguarda le famiglie numerose, gli anziani, i giovani e i residenti nelle grandi aree metropolitane.

Fonte: corso di Politica Economica (LUMSA), prof. Gentiloni, a.a. 2007/2008

Luci e ombre della globalizzazione


La globalizzazione è un fenomeno che, dalla fine del secolo scorso, ha coinvolto e continua tuttora a coinvolgere diversi settori della vita umana, dall’economia alla comunicazione, dalla cultura alla politica.
Dal punto di vista strettamente economico, la globalizzazione consiste nella forte interconnessione di rapporti commerciali e finanziari a livello mondiale: ciò comporta una sempre maggiore dipendenza dei Paesi gli uni dagli altri e un intreccio di scambi sempre più fitto. Con la parola globalizzazione, sempre restando in ambito economico, s’intende anche l'affermazione delle imprese multinazionali nel palcoscenico dell'economia mondiale. Guardando la globalizzazione con quest’ottica, due sono i punti di vista: quello della produzione, spesso incentrata nel cosiddetto “Sud del mondo”, e quello della vendita, che vede la sponsorizzazione di alcuni grandi marchi attraverso reti commerciali mondiali.
La costruzione del “villaggio globale” ha permesso il superamento delle barriere dei costi di trasporto, l’annullamento delle distanze geografiche, la trasmissione istantanea di ordini e conferme, la soppressione dei tradizionali impedimenti amministrativi e burocratici, lo scambio di prodotti e capitali finanziari da una piazza all'altra con una velocità e con una sicurezza dapprima sconosciute.
La grande chiave che ha aperto nuove frontiere è rappresentata da Internet: come aveva fatto nei decenni precedenti il telegrafo, il web è uno strumento che ha completamente annullato la distanza geografica, apportando inoltre una grandissima novità, ovvero la trasmissione di un eccezionale volume di informazioni di altissima qualità, grazie alla tecnologia digitale. Con il web è stato possibile superare la grande crisi del 2001, aumentare costantemente la produttività mondiale (nel 2007 il Commercio Mondiale segna + 8,9%) e avere un mercato finanziario 24 ore su 24.
Secondo l’economista George Soros, “la globalizzazione consiste nella libera circolazione dei capitali da un continente all’altro”: in questa definizione si nasconde la “trappola” della globalizzazione. La forte integrazione commerciale e finanziaria a livello mondiale, infatti, coinvolge teoricamente tutto il mondo, mentre in realtà la parte povera del nostro pianeta viene del tutto esclusa e isolata dalla corsa dell’economia. Un esempio di questo divario tra Nord e Sud del mondo è dato dalla Coca Cola: si tratta di un marchio celebre e di una multinazionale che vende le proprie bevande in tutti i Paesi, a livello mondiale. Mentre negli Stati Uniti, però, il consumo medio annuo di Coca Cola pro capite ammonta a 380 bottigliette, in India il numero si riduce drasticamente a 4: questi dati esprimono chiaramente la più grande contraddizione della globalizzazione, fenomeno che abbraccia tutto il mondo solo a livello teorico.
Anche Internet, la rete che dovrebbe connettere e annullare le distanze tra tutti gli angoli del mondo, in realtà coinvolge solo i Paesi ricchi: il problema del digital divide, infatti, è un’altra incoerenza del “villaggio globale”.

Fonte: corso di Politica Economica (LUMSA), prof. Gentiloni, a.a. 2007/2008

L'Europa corre, l'Italia arranca a fatica


Da oltre dieci anni l’Italia ha rallentato la sua corsa e non riesce a uscire da una situazione economica stagnante: il nostro Paese, infatti, è quasi il fanalino di coda dell’Eurozona e si contraddistingue per diversi record negativi, quali il debito pubblico più elevato (68,8 miliardi di euro di interessi sul debito nel 2006) e il costo dell’energia per uso domestico più caro di tutta l’Europa (15 cent/KwH).
Diversi sono i fattori che rendono l’economia italiana meno competitiva rispetto a quella degli altri Paesi: primo tra tutti, il problema delle rendite nei servizi e nelle professioni. L’Italia, infatti, è completamente paralizzata nei servizi, settore che corrisponde al 75% del PIL in ogni Paese moderno. Come sostiene Innocenzo Cipolletta, attuale presidente delle Ferrovie dello Stato ed ex direttore generale di Confindustria, il vero intralcio allo sviluppo dell’economia italiana è rappresentato proprio dal nostro sistema di servizi, protetti e quindi non ristrutturati: le corporazioni e gli ordini professionali ingessano lo sviluppo e non permettono la concorrenza. Il decreto Bersani dello scorso febbraio ha avuto proprio l’obiettivo di demolire il rigido corporativismo che caratterizza diverse categorie di professionisti in Italia: scarsa competizione, debole spinta all’innovazione, prezzi più alti per i consumatori e scadente qualità delle prestazioni sono i risultati di una politica basata su un’eccessiva regolamentazione nei servizi professionali. Con le cosiddette “lenzuolate”, il ministro per lo Sviluppo economico ha mirato a liberalizzare diversi sistemi, farmacie e taxi primi fra tutti.
Un altro fattore che penalizza l’economia italiana è rappresentato dagli scarsi investimenti nel futuro: il nostro Paese, infatti, si caratterizza per le gravi carenze nel sistema istruzione-formazione e per i bassissimi investimenti nella ricerca. Nel 2007 il nostro Paese ha investito solo l’1% del PIL nella ricerca, mentre in Europa la media degli investimenti in quest’ambito sale a quota 1,81%, negli Stati Uniti a 2,7% e in Giappone al 3,15%. Secondo un’analisi di Confindustria del marzo scorso, nel 2006 l’Italia ha investito solo 18 miliardi in ricerca, mentre gli Stati Uniti sedici volte tanto, ovvero 300 miliardi. L’abisso tra Italia e Stati Uniti è evidente anche nel numero dei ricercatori: nel nostro Paese sono solo 72mila, negli USA 300 miliardi.

Fonte: corso di Politica Economica (LUMSA), prof. Gentiloni, a.a. 2007/2008

sabato 8 dicembre 2007

sabato 1 dicembre 2007